“Perchè CALCIOTOTALE”
C’è sempre una ragione per la quale si attribuisce un nome a qualcuno o a qualcosa che senti proprio: come si fa quando ti nasce una bellissima bambina, che è tua figlia, e decidi di chiamarla per esempio “Anna”.
Ho iniziato ad amare senza misura il calcio all’età di 6 – 8 anni: quindi all’incirca nel ’72 – ’74. Ricordo ancora un mio compagno di giochi, di famiglia più ricca della mia, che, in quel periodo, nelle interminabili partite che giocavamo nel cortile (una specie di viale) del suo palazzo, sfoggiava una sgargiante e bellissima maglietta arancione e, soprattutto, dei pantaloncini imbottiti (e perciò inusuali per il gioco del calcio) che lui diceva essere indossati dall’Olanda.
Non ho mai saputo se veramente l’Olanda indossasse i pantaloncini imbottiti per attutire meglio le botte e/o le cadute dei suoi giocatori sul campo di gioco.
Fatto sta che si giocavano i Mondiali del 1974 in Germania (io avevo 8 anni) ed ero già innamorato di quel colore arancione e di quella squadra che annoverava, tra le sue fila, Joahnn Cruijff.
E che, quattro anni dopo, già pazzo di Paolo Rossi e di Bettega (e della mia Juventus), ad Argentina ’78, uscita di scena l’Italia, continuai a tifare Olanda: nonostante mio padre, che nulla sapeva “della dittatura militare”, ma che aveva sua madre (mia nonna), a quel tempo ancora in vita, nata a Buenos Aires.
Tempo fa, per raccontare dell’Horatiana Venosa nel campionato di Eccellenza Lucana, avevo chiamato il mio blog (poi finito male) “numero 14”: a devozione del più grande calciatore (con D. A. Maradona e G. Best) di tutti i tempi. E cioè Joahnn Crujff.
Oggi, per questo blog, ho scelto il nome che sapete (calciototale.wordpress.com) di nuovo in ammirazione per il giocatore e la nazionale che mi hanno fatto innamorare del gioco del calcio.
Trovo giusto, allora, raccontarne, in sintesi e avvalendomi di un miglior critico (il più grande), la storia: che non è, ve ne accorgerete, “l’apologia” di una squadra e di una nazione calcistica che, in fondo, ha vinto solo un “Campionato Europeo” (peraltro tanti anni dopo), ma il racconto, assai breve, di una “favola” vera che mi ha “iniziato” al calcio e me l’ha fatto amare.
I successi dei club più importanti del calcio olandese (monopolisti della Coppa dei Campioni dal 1970 al 1973) annunciarono al mondo del football internazionale una sorta di rivoluzione: una levata, come si disse allora, tutta basata su un atletismo spinto e, soprattutto, sulla rinuncia alle specializzazioni del ruolo. Motivi questi probabilmente già elaborati in quel paese “terribilmente basso”, ma portati alla ribalta solo allora, per la fioritura di una generazione di fuoriclasse.
Quando le regine Ajax e Fejernoord cominciarono a declinare, depauperate dalla fuga degli assi verso dorati lidi stranieri, ecco che irruppe sulla scena del mondo la nazionale olandese, realizzando, di quelle due squadre, una mirabile sintesi.
Rinus Michels, selezionatore dell’Olanda per il Mondiale del ’74, attinse il meglio dalle formazioni dominatrici del “calcio arancione” e costruì una formidabile e splendida Olanda.
Potendo contare su campioni assoluti in ogni zona del campo, impostò il gioco su pochi punti fermi. Innanzitutto il portiere Jongbloed: una sorta di sberleffo ai canoni consolidati e più tradizionali del ruolo. Atto agli azzardi più temerari, si comportava da difensore tout court, sovente costretto dalle evenienze tattiche a disimpegnarsi ricorrendo a recuperi avventurosi, balzi goffi ma quasi sempre efficaci, e a salvataggi di piede al limite delle “comiche”. Gianni Brera, da par suo, così lo liquidò malignamente: “Jongbloed, il portiere macchietta, che fa il tabaccaio ad Amsterdam”. Ma, alla prova dei fatti, l’estremo difensore arancione si dimostrò all’altezza contro ogni più diffusa previsione di avvio.
Davanti a lui, due difensori centrali: rigorosamente a zona. Haan, il “libero” della situazione (almeno secondo le nostre categorie mentali), e lo “stopper” Rijsbergen: distinguibili in queste due etichette solo per la più netta propensione del primo a costruire gioco, rispetto alla vocazione tipicamente difensiva del secondo, baluardo centrale per antonomasia sin dalla sua conformazione fisica.
A centrocampo due portenti: Jansen ed il “centrale” Van Hanegem.
La “Lista dei Ruoli” finisce in pratica qui.
Tutto il resto è movimento, sovrapposizione ed interscambio di uomini, idee e schemi. Sui lati, giocano a destra Suurbier ed a sinistra Ruud Kroll: due terzini – ali disponibili costantemente all’avanzata così come a scambiarsi le corsie o ad accentrarsi. Loro prolungamenti laterali sono Rep a destra e Rensembrink a sinistra: punte anche queste molto atipiche, pronte sempre al ripiegamento ma, soprattutto, a battere nuove piste di campo.
In un complesso basato sulla sostenibile leggerezza di quello che iniziano a chiamare “Calcio Totale”.
Per questo gli olandesi iniziano a distinguersi per l’anticonformismo anche fuori dal campo: ritiro con mogli e compagne, preparazione fisica eccellente, ma, anche, grande libertà individuale nella gestione del tempo libero. Secondo un concetto di responsabilità professionale personale difficilmente comprensibile dalle nostre parti, ma fonte di freschezza mentale durante la partita. Quasi che la libertà di gioco riflettesse una più generale vocazione ad inseguire l’estro in ogni angolo dell’esistenza.
Il centrocampo si completa con Johan Neeskens: l’emblema del superamento dei ruoli. Perchè egli gioca difensore, mediano, rifinitore e, soprattutto, attaccante, come suggerisce la sua straordinaria media gol.
Lo supera, in classe pura, solo l’altro Johann: “il divino” Cruijff, che della squadra è teoricamente il centravanti: e tanto perchè solitamente marcato dallo stopper avversario. La sua vera forza, però, sta nella magica capacità di scivolare come un’anguilla tra le maglie della partita, partecipare al tourbillon offensivo, per poi proiettarsi e concludere, ora da punta ora da interno in avanti, e nei momenti mai preventivabili, nella porta avversa.
Lo schema più tipico, insomma, è una sorta di assedio a “Fort Apache”: i giocatori si passano la palla in semicerchio da un lato all’altro del campo, avanzando progressivamente il proprio raggio di azione fino a stritolare la difesa avversaria ed a beffarla con improvvise partenze in triangolo che proiettano un giocatore in area di rigore: guardatevi, per favore, i primi 3 o 4 minuti della finale della Coppa del mondo in Germania nel 1974.
La “bomba” tattica deflagra con fragore: non si era mai visto niente del genere. Specie per la disinvoltura fisica con cui un costasnte impegno offensivo viene gestito dal primo all’ultimo minuto.
L’italianista (e mio idolo) Gianni Brera è il meno disponibile ad apprezzare. Eppure nel suo racconto si legge tutta, pur se tra le righe della critica più dura, la sua ammirazione per il tulipano volante (Cruijff) e la sua banda: “Gli olandesi sprizzavano energia e divertimento da tutti i pori. Quando non dovevano rischiare le gambe, Cruijff e Neeskens inscenavano giostre ineffabili. Il loro genio si trasmetteva ad un complesso non meno dotato che esperto. Contro l’Olanda si sono scornati Uruguagi e Bulgari, Argentini e Tedeschi Orientali, non però gli Svedesi e, pensandoci, nemmeno i Brasiliani che pure non avevano attacco. Si spropositava per gli Olandesi del calcio totale, diciamo pure di panturbiglione, di girandola continua: ma non mi è accaduto di vedere in attacco i due terzini d’ala (si riferisce a Surbieer e a Kroll). Ogni schema difensivo andava a ramengo dietro all’ispirazione e al ritmo dell’azione offensiva. Era questo un difetto che, secondo logica, gli olandesi avrebbero dovuto pagare. Già con il Brasile in semifinale avevano lasciato tre comode palle gol ad attaccanti che le sciuparono miserevolmente. Il povero Zagallo (Ct brasiliano ai mondiali del ’74), che giocava uno splendido calcio difensivo, non aveva attaccanti che valessero non dico Pelè e Garrincha, ma neanche i vecchi arrembati italioti Altafini e Clerici. Dopo avere tanto sprecato era fatale che il Brasile lasciase via libera agli Olandesi. E questo precisamente avvene: però chi aveva occhi per vedere non poteva dimenticare le disinvolture difensive, diciamo pure le “cicalate”, che Cruijff e compagni perpretavano. Nello stilare il pronostico della finale me ne sono ricordato. I tedeschi hanno messo un duro come Vogts su Cruijff e si sono asserragliati intorno a Backenbauer. Il Principe Franceschino (alias Johann) si è ben guardato, per l’occasione, di bailar fùtbol come soleva nelle partite facili. E’ rimasto al centro dell’area e si è batttuto con la modestia di un capitano conscio di sè e degli avversari. Vogts è subito incappato in un fallo da rigore ma poi ha convinto Cruijff che forse era meglio girare al largo. Le caviglie dei miliardari sono preziose anche in Olanda. Il presuntuoso calcio totale ha mostrato tutte le sue pecche ed il calcio difensivista i suoi pregi di modestia e praticità. In Italia tutti avevano pronosticato l’Olanda e si scagliarono contro di me che avevo scritto qualmente i tedeschi avessero vinto i mondiali giocando all’italiana. Lo confermò, papale papale, anche Backembauer: ovviamente, precisando, <con il nostro impegno, la nostra rabbia>”.
In fondo, ed “Eupalla” avrebbe desiderato, i valori assoluti davano merito della vittoria all’Olanda.
Quella splendida Germania, invece, pur non usurpando nulla, riuscì nel trionfo che solo la sventatezza tattica dell’Olanda contribuì a costruire.
La zona dell’Olanda di Michels si basava su un modulo altamente spettacolare: caratteristiche tecniche universali in pressocchè tutti gli uomini, che avevano classe superiore alla media e vigore fisico straripante (indispensabile per ritmi così intensi di attività offensiva).
Tanto fu alla base di un calcio tanto bello quanto, alla prova dei fatti, povero di risultati: se i club raccolsero moltissimo, la nazionale arancione non andò oltre due secondi posti consecutivi alle rassegne mondaili.
Ecco il difetto di quel modulo, costruito attorno ad un nucleo di campioni decisi a divertire e a diverstirsi. Più che a vincere.
Io, checchè se ne dica, di quella squadra me ne sono innamorato e poi, grazie ad essa, del gioco del calcio.
Tanto basta a dirLe un Grazie Infinito: sperando che qualche ragazzino di oggi abbia, dopo aver letto questo Post di Presentazione, la voglia ed il tempo (perchè oggi i mezzi non mancano) di andare a rivedersi, in DVD o VHS, le splendide giocate di quell’Olanda e di quel “14” che amo più di Pelè, Maradona, Platini … e chiunque altro.
Semplicemente perchè mi ha fatto amare il calcio.
Donato Mennuti
Dopo aver letto con vero entusiasmo il tuo blog, voglio farti i miei più vivi complimenti.
Sono dello stesso parere…la formazione olandese di quel tempo, il calcio totale da loro spettacolarmente praticato, resteranno negli annali del calcio planetario.
Johann Cruijff è stato e resterà per sempre,a mio avviso, il miglior calciatore di tutti i tempi….non ho mai avuto dubbi !!!
Bravissimo Donato !
Auguroni….
Massimo
Questa spiegazione l’hai presa da “storie di calcio” sito molto bello. . .
Bravo. .
… la seconda parte … penso di ricordare … mi sa che hai ragione … dovevo in qualche modo spiegare il perchè del nome dato al blog ed il mio amore per il calcio olandese …. la prima è roba mia … ed è sacrsantamente vera …